La corrosione artificiale della superficie del vetro avveniva generalmente mediante acido fluoridrico.
La superficie dell’oggetto veniva ricoperta con uno strato irregolare di cera fusa, mediante spugnatura; immergendo poi l’oggetto in un bagno contenente segatura e acido fluoridrico, si ha corrosione nelle zone non protette dalla cera. L’effetto ottenuto è simile a quello di una superficie ghiacciata. La tecnica è ora abbandonata per il rischio sanitario connesso all’uso dell’acido fluoridrico o dei suoi sali. I vetri corrosi della Venini furono presentati nel 1936 alla VI Triennale di Milano e alla XX Biennale di Venezia. Con questa tecnica Carlo Scarpa ideò un’ampia gamma di vetri dalle forme morbide, decorati, a volte, da applicazioni a caldo di bugne, fasce o rilievi, anch’esse corrose. Per questi vetri Scarpa scelse colori delicati, come ad esempio l’acquamare, l’ametista, il fumé, il pagliesco, il “corniola”, ma in certi casi usò tonalità più accese come l’“aranciato”, il blu, il verde e il rosso.